Che cos’è che unisce tra di loro fenomeni come la deforestazione massiccia del pianeta, il bracconaggio, l’eredità coloniale in Africa occidentale, l’estrattivismo e l’esplosione numerica della specie umana nell’ultimo secolo? Diremmo senza dubbio il Capitale, e tra le conseguenze dell’espansione apparentemente inarrestabile della mercificazione della vita umana, che imprime le sue stimmate su tutti questi fenomeni, vi è la nascita di nuove e sempre più distruttive pandemie, ormai consustanziali allo sviluppo del Capitale stesso.

“Spillover” di David Quammen è un libro che parla di pandemie. In particolare, parla di come nuovi agenti patogeni di origine virale (ma anche batterica, come è spiegato nel caso dei plasmodi della malaria) compiano il loro “salto” infettando gli esseri umani. Salta agli occhi che il motivo per cui questo libro è stato ripubblicato nel 2020 è dovuto alla pandemia di Covid-19; essa, a distanza di più di sette anni dall’anno di pubblicazione di Spillover, ha reso universalmente urgenti i temi di questo libro, e potremmo dire anche che il libro di Quammen ha creato una piccola crepa nella narrazione dei disastri “naturali” come fatti non immediatamente sociali, come fatti “naturali”.
A leggerlo, il libro è curiosamente strutturato come una sorta di romanzo autobiografico a tinte noir più che come un saggio di divulgazione scientifica in senso stretto, ma andrebbe considerato sia come un saggio che come un romanzo senza che un aspetto prevalga sull’altro; “Spillover” è infatti ricolmo di dati e spiegazioni di teoria epidemiologica così come di aneddoti, racconti e particolari narrativi a cui attinge la teoria che l’autore cerca di spiegare.
Il concetto chiave è quello di “zoonosi”, ovvero il “salto” di specie che effettuano i nuovi patogeni. Come avviene questo salto? Nel palcoscenico delle epidemie entrano in scena due personaggi: le specie serbatoio, che si sono adattate ad una presenza non distruttiva (o meno distruttiva) di un certo patogeno, e quelle di amplificazione, che accidentalmente si prestano da cassa di risonanza alla diffusione del patogeno tra gli esseri umani. I virus, in particolare quelli a RNA, hanno grandi potenzialità di generare mutazioni e dar vita a potenziali spillover da una specie a un’altra; sono “iperoggetti” ambigui, per usare un concetto di Timothy Morton, e del tutto dipendenti dai loro ospiti per la loro espansione, esseri in bilico tra vita e non-vita. Va notato di come il concetto di “ecologia” venga usato nel libro al di fuori del suo uso generico, per spiegare queste mutazioni, le mutazioni delle specie che li ospitano e quelle dell’ambiente in cui queste specie operano.
In “Spillover” viene mostrato empiricamente di come gli squilibri negli ecosistemi terrestri causati dallo sviluppo capitalistico, specie quelli dovuti alla deforestazione (gli esempi vanno dall’Australia alla Cina meridionale e all’Africa occidentale), abbiano stravolto e reciso in modo distruttivo le connessioni che esistevano tra la specie umana ed il resto del mondo animale, e l’aspetto più importante di questo stravolgimento riguarda gli equilibri con le moltitudini di patogeni che queste specie ospitano. Tra queste specie, ed indiziati principali di quasi tutti i nuovi virus emergenti, ci sono le varie specie di pipistrelli che popolano il pianeta.
Tra le zoonosi esplorate nel libro (il virus Hendra dei cavalli in Australia, l’epidemia di Nipah in India e in Bangladesh, la SARS a Hong Kong, le varianti della malaria, Ebola e Marburg in Africa Occidentale e l’HIV/AIDS) spicca proprio il capitolo sull’HIV, che concentra quasi tutti i punti concettuali di Spillover.
La storia che David Quammen racconta è quella delle manovre sanitarie di massa che il colonialismo europeo impose in Gabon, Congo e Camerun nella prima metà del ‘900, e di come in queste manovre fossero state sistematicamente applicate siringhe usate per via delle ristrettezze economiche, dell’assenza di produzione in serie di quest’ultime e (non viene direttamente detto, per quanto venga implicato) del pregiudizio razzista che confinava milioni di individui allo status di esseri inferiori rispetto ai bianchi. HIV-1, per come viene raccontato in Spillover e come afferma il consenso scientifico, ha avuto origine in un’area che corrisponde all’odierno Camerun sudorientale; il suo spillover è avvenuto più meno all’inizio del ‘900 (precisamente nel 1908, secondo gli studi di Micheal Worobey e Beatrice Hahn) da uno scimpanzé infetto con una variante mutata del virus autoimmune degli scimpanzé, ovvero SIVcpz. La sua diffusione, dapprima endemica in Camerun e nell’allora Congo Belga, con l’aiuto degli spostamenti di individui infetti nelle grandi città coloniali come Brazzaville e Léopoldville (ora Kinshasa), delle manovre sanitarie coloniali citate precedentemente, della distruzione degli habitat delle scimmie a causa del bracconaggio e dei problemi economici seguiti alla decolonizzazione del Congo negli anni ‘60, si è generalizzata dapprima nei tecnici haitiani andati a lavorare in Congo dopo l’indipendenza, e da Haiti l’HIV si è espanso negli USA e poi ovunque, mietendo decine di milioni di vittime.
Tralasciando i vari virus autoimmuni delle scimmie (è interessante la parte sui SIV dei cercocebi e dei cercopitechi, e di come inizialmente si cercasse l’origine di HIV-1 in quei tipi di scimmia) e la differenziazione tra HIV-1 e HIV-2, quello che colpisce della storia dell’HIV-1 è di come esso sia stato un’accumulazione di molteplici potenzialità distruttive causate dall’azione sociale umana; in un certo senso esso è il simbolo di tutte le zoonosi, nonostante la natura peculiare dei lentivirus di cui fa parte il virus che causa l’AIDS, e nonostante le differenze con le ben più mutevoli forme di coronavirus, tra cui quello della pandemia in corso. Le zoonosi ci ricordano che non esiste soluzione di continuità tra la natura sociale e quella organica, nonostante la “mineralizzazione” resa inevitabile dalla riproduzione allargata del Capitale, e che uno dei compiti del comunismo sarà quello di annullare il movimento che ha portato gli individui e la specie a distruggere la stessa natura di cui sono parte e totalità, reintegrando entrambi in un piano razionale di vita.
Il libro si conclude con una parte in cui si citano le esplosioni (outbreak) di certe specie di insetti, facendo l’esempio dei bruchi tenda, e paragonandole con l’uomo. L’espansione della specie umana è stata il più grande outbreak che la biosfera abbia conosciuto; per biomassa totale, gli esseri umani superano qualsiasi altra specie sulla Terra, ad eccezione delle formiche e dei krill. Il capitalismo va continuamente a scontrarsi con i limiti biologici della sua espansione; la pressione demografica e economica della specie, privata del suo nesso naturale ed oppressa dalle necessità di una vita insensata, disbosca, si agglomera in città affollate, uccide specie serbatoio, estrae risorse per il profitto capitalistico e genera i presupposti per nuove pandemie, che siano lentivirus, coronavirus o virus come l’Ebola o Nipah.
Se un tempo la produzione di acciaio era il simbolo della mineralizzazione del pianeta, adesso l’inorganico è la norma ovunque. Viviamo davvero nell’”antropocene”? Al di là del di senso di quest’idea (si può definire quest’era come “l’era degli esseri umani” partendo dal movimento irrazionale del mercato capitalista?), la situazione odierna è una in cui per l’infelicità generale viene massimizzata la distruzione delle riserve organiche terrestri, preparata una catastrofe ambientale con il pilota automatico e frenate le potenzialità di sviluppo sociale e individuale, se una pandemia non uccide nel frattempo milioni di persone oppure una crisi catastrofica distrugge i presupposti dell’economia “normale”, come abbiamo visto in quest’anno. Il Capitale è lavoro morto che domina sul lavoro vivo, è dominio dell’inorganico che schiaccia l’organico.
Spillover non è un libro di teoria rivoluzionaria (e l’autore sembra essere ottimista su una possibile riforma del sistema) ma è un lucido esempio di letteratura scientifica che, senza volerlo, capitola di fronte al comunismo e prepara la necessità di un’azione per il superamento della più irrazionale delle società umane.