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Il centenario della nascita del PCd’I e noi

Il feticismo delle commemorazioni dovrebbe essere sempre rigettato da parte di chi si considera rivoluzionario. I Sonic Youth cantavano “Kill Yr Idols”, e questo vale anche per noi, che di idoli non dovremmo averne. Le bocche degli opportunisti di ogni risma banchettano sui resti del cadavere del movimento proletario del passato. Per commemorare i cent’anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia (poi Italiano, a sigillo dello stalinismo e del togliattismo) si è scomodato addirittura Ezio Mauro. Ma i giornalisti democratici tutto sommato possiamo capirli: lavorano senza maschere per la conservazione del Capitale, e non ci impensieriscono più di tanto. Invece, sul fronte della propaganda stalinista, riformista e frontista su Livorno, alle fanfare si sono da tempo sostituite le orchestre di trombe sfiatate; le stesse falsificazioni vengono ripetute con stanchezza, senza più enfasi, le stesse icone vengono portate sull’altare nel tentativo di mantenere in vita la mistificazione anche in occasione di questo centenario. Che diremmo noi, quindi, di questi cent’anni dalla scissione che fondò il Partito Comunista d’Italia, il 21 Gennaio del 1921, a Livorno?  

È nota quale fosse la situazione italiana prima del 1921: Una guerra mondiale svolta dalla parte dei vincitori ma vinta a prezzo altissimo per il proletariato, un Partito Socialista imperniato sulla formula di Lazzari del “né aderire né sabotare” e incapace di ammettere di essere inadeguato per una situazione di aperto scontro sociale, ma con una tendenza di sinistra (costituitasi in frazione tra il 1918 e il 1919) che, a dispetto dei riformisti e dei massimalisti a la Serrati, godeva dell’appoggio di una larga fetta del partito (a partire dalla Federazione Giovanile, che passò in blocco al PCd’I) in una situazione di malcontento generalizzato, segnato da agitazioni operaie che scossero tutto il paese dal 1919 fino all’autunno del 1920. Fuori dall’Italia, tra il 1918 e il 1920 venne repressa la rivoluzione spartachista e morirono in carcere Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, fallì la repubblica dei consigli di Béla Kun in Ungheria ed il movimento rivoluzionario europeo, esploso sulla scia della rivoluzione d’Ottobre e della prima guerra mondiale, si incamminò verso la sua inesorabile ritirata. 

Dopo la fondazione della Terza Internazionale nel 1919 ed in pieno svolgimento della guerra civile in Russia, venne convocato il secondo congresso dell’Internazionale nel 1920, al quale partecipò la frazione “astensionista” del PSI sotto convocazione dello stesso Lenin; fu in quel congresso che vennero approvate le famose 21 condizioni della Terza Internazionale, la ventunesima delle quali venne proposta dagli stessi astensionisti italiani. La questione dei “punti di Mosca” era dirimente per la frazione di sinistra che avrebbe costituito il partito comunista; si trattava certo non di una lotta democratica per conquistare una maggioranza all’interno del Partito Socialista che allora era saldamente in mano al “centro” massimalista, ma di preparare teoricamente e organizzativamente la scissione che di lì a poco si sarebbe verificata. 

Il diciassettesimo congresso del Partito Socialista venne convocato tra il 15 e il 21 Gennaio del 1921, al Teatro Goldoni di Livorno. I 21 punti dell’Internazionale, citando a chiare lettere i nomi dei rappresentanti riformisti all’interno dei partiti socialisti europei (tra cui Turati per l’Italia), preconizzavano l’espulsione dei riformisti, una critica aperta al fallimento della seconda internazionale di fronte alla guerra e a quella che allora veniva chiamata “internazionale 2 e ½” con sede ad Amsterdam, ed il cambiamento del nome dei partiti in “Partito Comunista di questo o quel paese, sezione dell’Internazionale Comunista”. Tutte queste richieste erano state in parte anticipate e fatte proprie dalle due tendenze di sinistra che affrontarono a Livorno le mozioni dei Treves, Modigliani, Serrati etc., ovvero quelle incentrate nei giornali “L’Ordine Nuovo” di Torino ma soprattutto ne “Il Soviet” di Napoli, diretto da Amadeo Bordiga.  

La mozione dei massimalisti di Serrati ottenne, prevedibilmente, una schiacciante maggioranza alle votazioni del congresso, ed allora i rappresentanti della mozione comunista, dopo una lunga orazione che riassumeva i dissensi dell’ala scissionista del Partito pronunciata da Bordiga, formarono un corteo per uscire e recarsi al Teatro San Marco di Livorno, dove finalmente venne fondato il Partito Comunista d’Italia, sezione della Terza Internazionale. 

Non ci proponiamo in questo articolo di parlare in dettaglio di quello che fu il primo momento storico del PCd’I tra il 1921 e il 1926, nonché delle giravolte tattiche della Terza Internazionale in via di degenerazione (dalla parola d’ordine prima del “Fronte Unico” nel 1921 per passare poi a quella del “Governo Operaio” nel 1922, a cui fu aggiunta la dicitura “e Contadino” nel 1924), o della defenestrazione della sinistra imposta dai vertici dell’Internazionale, perseguita da Gramsci e Togliatti dopo l’arresto in massa dei comunisti nel 1923 e chiamata con lo squallido nome di “bolscevizzazione”, fino alla definitiva ascesa del fascismo dopo l’assassinio di Matteotti ed il congresso farsa di Lione dell’ormai bolscevizzato PCd’I del 1926. Tutto ciò è materia per ulteriori approfondimenti, che guardino anche ad un superamento dell’esperienza rivoluzionaria dei primi due anni del Partito. 

Sarà sufficiente però riaffermare che tutte le falsificazioni costruite dall’opportunismo stalinista sulla storia dei primi anni del PCd’I, e ripetute dai suoi discepoli più o meno consapevoli, si basano sulla capacità che ha avuto lo stalinismo nell’aggiogare il proletariato alla nazione (e tra queste falsificazioni la più infamante rimane quella di aver favorito l’ascesa del fascismo per via della tattica “settaria” di rifiutare ogni frontismo con il Partito Socialista e con gli Arditi del Popolo, che è una narrazione fondata sul proposito di riscrivere i fatti di quegli anni oscurando il ruolo essenziale che ebbe l’Ufficio I° del PCd’I, ossia l’apparato militare illegale del Partito, nell’affrontare le squadre fasciste sul terreno della lotta aperta e offensiva, l’importanza relativa che ebbero gli Arditi in quella lotta ed il ruolo che il fallimento dello sciopero generale dell’Agosto 1922 ebbe nel favorire l’avvento del governo fascista, come abbiamo cercato di spiegare anche nel nostro articolo sull’antifascismo), nell’integrare insomma il proletariato all’interno della comunità materiale del Capitale. 

Come affermato all’inizio, siamo contrari al feticismo delle commemorazioni. Una valutazione critica sulla fondazione del PCd’I, ad esempio, non può prescindere dall’osservazione, condivisa in parte dallo stesso Amadeo Bordiga, che il Partito Comunista in Italia era nato troppo tardi: il Biennio Rosso era rifluito nell’illusione che le fabbriche occupate dagli operai costituissero un “nucleo di socialismo”, come riteneva l’Ordine Nuovo e Gramsci, senza riuscire però a scalfire il potere del governo liberale di Giolitti. Ciò era dovuto all’assenza di una forza organizzata attorno a un programma rivoluzionario. Il fatto che il partito fosse nato tardi non vuol dire che bisogna inventarsi qualche ipotesi retrospettiva in cui sarebbe dovuto nascere prima: pur essendo nato in una situazione di riflusso, il PCd’I è riuscito ad anticipare nei due anni in cui è stato in mano alla Sinistra una forma di organizzazione che si reggeva su una disciplina spontanea, razionale ma non oppressiva, fondata su un programma rivoluzionario che poneva al centro del suo agire la visione di una società radicalmente diversa dal capitalismo.  

Il movimento proletario che diede vita alla Rivoluzione d’Ottobre e al PCd’I è finito, ma il comunismo preme come forza sempre più potente all’interno della società odierna. La comunità del Capitale traballa sempre di più. Più che uno sterile ricordo dei cent’anni dalla nascita del Partito Comunista d’Italia i rivoluzionari odierni hanno bisogno di porsi nell’invarianza che li congiunge a quell’esperienza, a quella di tutte le rivoluzioni che hanno cercato di fondare una comunità antitetica a quella del Capitale ed alla visione di un mondo liberato dalle miserie del denaro, dello Stato, delle classi, del lavoro, delle nazioni e dalla disperazione materiale e psichica che accompagna la discesa agli inferi di una società sempre più intollerabile per la vita degli individui. 

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