Introduzione
Il 25 Aprile è di nuovo alle porte, e tutte le forze politiche più o meno riformiste cominciano organizzare i loro preparativi per festeggiare la Liberazione dal fascismo, quest’anno incoraggiate da un nuovo frontismo nato per combattere i rappresentanti più o meno farseschi e repellenti del governo attuale.
La resistenza e l’antifascismo, per come vengono presentati dall’oleografia post-bellica e dalla retorica della sinistra, dei socialdemocratici così come dei militanti del “Movimento”, sono i Valori fondanti che devono essere dogmaticamente seguiti da chiunque; mettere in discussione questi Valori, anche per i “militanti” più temerari e battaglieri, è fuori luogo, è un peccato che vale, se non la scomunica, se non altro il sospetto di molti. Eppure, nella pochezza politica attuale, è facile vedere che molti di coloro che, specialmente nel “movimento”, ripetono e si battono per diffondere questa stanca fraseologia, lo fanno per mancanza d’altro: d’altronde il fascismo e il rossobrunismo aperto, e le forze che a questo fascismo più o meno truce ammiccano, hanno già fatto il loro lavoro nel porsi come alternativa “anticonformista”, “ribelle” e così via blaterando.
Cosa può esserci al di fuori di questa battaglia fra le rane e i topi che è la contesa borghese nel 2019? Occorre innanzitutto stabilire una (breve) premessa metodologica, storica e politica sul perché, dalla nostra prospettiva, la resistenza è stata una sconfitta per il proletariato internazionale e italiano, e l’antifascismo, se con questo termine intendiamo un blocco di vari partiti e classi per la difesa di garanzie democratiche minacciate dai movimenti fascisti, una strategia che non ha nulla a che vedere con una lotta effettiva alla reazione e al fascismo, ma è stata e continua ad essere una strategia interclassista per aggiogare il proletariato alla difesa dello Stato borghese.
I
Nella visione che viene di solito associata al fronte antifascista, il fascismo è un monolite quasi unicamente ideologico: ha i suoi codici culturali, ha le sue strategie comunicative, i suoi simboli e i suoi legami più o meno decifrabili: ci si ritrova soltanto a combattere contro dei simboli o dei gruppi di persone più o meno odiose piuttosto che attaccare la causa profonda che favorisce il riemergere di posizioni reazionarie. Il fascismo quindi diventa un’aberrazione della vita democratica: anche se alcuni antifascisti possono tentare di evidenziare di come il loro antifascismo mostri il carattere “fascista” anche della democrazia borghese – cosa indubbiamente vera se vista da una prospettiva diversa – nella pratica il carattere di una politica del genere li pone sul terreno della difesa della democrazia.
II
Ma il capitalismo odierno, Moloch astratto, entropico e centralizzatore, è un sistema giunto ad una situazione in cui il suo funzionamento è fuori controllo: per rimediare a questa mancanza di controllo, lo Stato deve svuotarsi del suo contenuto liberale (e di ogni “politica”) e farsi autoritario, centripeto e repressivo, possibilmente adottando ideologie che legittimino il suo ruolo di difesa del capitalismo, e rivendicando la sua azione nell’esclusione delle minoranze sacrificabili per il “Popolo”, oltre a continuare a vigilare per difendere gli interessi della borghesia – anche quando sembra più “democratico” e liberale.
III
Lenin, riprendendo il Marx del terzo libro del Capitale e gli studi sul capitale finanziario di Rudolf Hilferding, aveva chiamato questa tendenza – embrionale agli inizi del ‘900 – come “Imperialismo” nel suo celebre libro dallo stesso titolo: allora era l’epoca dei trust e dei primi monopoli, e la Prima guerra mondiale (nel 1916) era in pieno svolgimento; in questo contesto Lenin affermò che il capitalismo fosse ormai “un involucro a cui non corrisponde più il contenuto”, perché lo sviluppo delle forze produttive, frenato e distorto dal persistere del capitalismo, si rivolgeva ormai contro sé stesso.
IV
Nell’anno corrente, al di là di qualunque valutazione critica dell’opera di Lenin o del concetto di imperialismo, possiamo constatare la realtà della società in cui viviamo: una società che riposa su una montagna di debiti delle aziende e dei governi, che giace sotto una mole di denaro fittizio che vale decine di volte il PIL mondiale, in cui i governi si dibattono per scongiurare una recessione che tutti danno per scontato che avverrà prossimi anni, in cui miliardari aspettano di poter mandare navicelle per l’esplorazione di Marte sperando di poter valorizzare il Capitale nello spazio, e in cui ad un’accelerazione della tecnologia e delle capacità dell’intelligenza artificiale corrisponde una relativa stagnazione della globalizzazione del Capitale. Estrarre (ed indirizzare) plusvalore a livello globale è diventato un compito sempre più difficile, e centinaia di milioni di persone a livello globale sono ormai rese inutili al processo produttivo stesso. Il tentativo di una parte della borghesia di invertire questo processo, in cui la Nazione e la stabilità del ciclo di accumulazione si dissolvono sotto il peso delle contraddizioni interne al sistema, e ritornare ad un ciclo “sano” di estrazione del plusvalore, specialmente nel caso dei paesi di vecchia industrializzazione come quelli europei o gli Stati Uniti, corrisponde politicamente al blocco che si fa chiamare “sovranista” e che non a caso riprende più o meno consciamente una parte delle rivendicazioni del fascismo storico.
V
Giova ricordare che il fascismo, emerso inizialmente da un insieme di spinte propulsive provenienti dal sindacalismo anarchico, da una parte della piccola borghesia studentesca, dai socialisti interventisti durante la prima guerra mondiale (tra cui lo stesso Mussolini), dai soldati irredentisti che protestavano contro la “vittoria mutilata” italiana e da varie forze provenienti da destra (ma specialmente da sinistra), non fu, come pensava Gramsci e come pensano tuttora molti antifascisti, una reazione di “ceti retrivi” agrari volta a restaurare condizioni sociali premoderne, ma fu un movimento il cui principale sostegno economico venne dalla grande borghesia industriale e finanziaria, come testimoniato dai bilanci del PNF durante gli anni ’20, e appoggiato dallo Stato e dalla borghesia, agraria e urbana, per distruggere l’avanzata rivoluzionaria del proletariato nelle campagne e nelle città, così come oggi il cosiddetto “sovranismo” aspira ad essere una copia in sedicesimo del fascismo storico.
VI
Con l’inizio delle azioni squadristiche, concentrate inizialmente nei centri agrari del Nord Italia (con le prime azioni eclatanti a Bologna e nelle campagne lombarde) e poi estese a tutto il paese, cominciarono naturalmente a formarsi movimenti di opposizione alle azioni delle squadre fasciste: in prima linea, data la politica di collaborazione nei confronti del governo voluta dal partito socialista (governo che nel giro di un anno passerà da Giolitti a Bonomi ed infine a Facta), vi fu il neo-formato partito comunista d’Italia, che cominciò immediatamente a preparare un’organizzazione militare illegale per organizzare l’offensiva armata contro i fascisti, e gli arditi del popolo, ovvero un fronte di militanti eterogenei accomunati da un’estetica che si rifaceva all’arditismo del Regio Esercito italiano (il fondatore, Argo Secondari, era stato un tenente del battaglione studenti degli arditi durante la prima guerra mondiale) ed una pratica che in parte anticipava quella dei fronti antifascisti successivi.
VII
Si è variamente parlato del fatto che per ordine del comitato centrale del Partito, allora presieduto da Bordiga, venne posto un veto ai militanti del partito nell’unirsi agli Arditi del Popolo, ed in generale nel partecipare a qualunque blocco tra vari partiti contro il fascismo, vista l’esistenza di un’azione armata autonoma del PCd’I contro le camicie nere: generazioni di storici e d’ideologhi stalinisti e gramsciani si sono sbracciati per attribuire la vittoria del fascismo ad una decisione “settaria” e arbitraria da parte del partito comunista, quando invece le condizioni per la vittoria definitiva del fascismo furono probabilmente poste dal fallimento dei moti sindacali dell’estate del ’22, più che dalla marcia su Roma, che fu una “commedia fra forze borghesi” come disse poi lo stesso Bordiga.
VIII
Dopo la vittoria del fascismo, accelerata dall’omicidio di Matteotti e dalla promulgazione delle “leggi fascistissime” del 1925, il campo di battaglia della reazione fascista si spostò prima in Germania e poi in Spagna. In quest’ultimo contesto i preamboli dell’affermazione del franchismo furono posti dalla repressione brutale dello sciopero dei minatori asturiani nell’Ottobre del 1934, sotto il governo di Alejandro Lerroux, e dall’ascesa politica della Falange nel triennio 1934-1936. Nel 1936 il Fronte Popolare, appoggiato da una coalizione di partiti che includeva anche il POUM trotskista, vinse le elezioni: nonostante l’astensionismo teorico degli anarchici, la vittoria fu supportata, notoriamente, anche dalla CNT. Ed è questa vittoria il pretesto che scatena la guerra civile degli anni successivi: a luglio dello stesso anno, quattro falangisti uccidono il tenente di polizia Josè Castillo.
IX
È facile notare di come, anche senza ricapitolare tutti gli episodi della guerra civile spagnola, una battaglia che ebbe momenti di vera lotta di classe e che fu accompagnata da espropri e collettivizzazioni frenetiche da parte dei proletari e dei contadini, divenne presto una guerra per procura tra potenze diverse: il blocco dei repubblicani, che a questo punto incluse, specialmente a Barcellona, il POUM, la FAI (la federazione anarchica iberica) e la CNT, accettò presto l’aiuto dell’Unione Sovietica, mentre i nazionalisti di Franco furono aiutati militarmente dalla Germania, dall’Italia e dal Portogallo salazarista. Come conseguenza di questo aiuto, l’Unione Sovietica cominciò a fagocitare, militarmente ed economicamente, il blocco repubblicano, nonostante il continuo sostegno (con relativi sacrifici chiesti al proletariato spagnolo) di anarchici e trotskisti al Fronte: al posto del primo ministro Francisco Largo Caballero, venne nominato nel 1937 Juan Negrin, un socialista vicino al PCE stalinista, e molti dei militanti anarchici, trotskisti o semplicemente non stalinisti nel Fronte Popolare vennero calunniati come controrivoluzionari e assassinati, come accadde a Camillo Berneri nello stesso anno.
X
Dopo i tentativi fallimentari di Negrin e degli stalinisti di salvare la repubblica “antifascista”, arrivando addirittura a smobilitare le brigate internazionali e a trasferire la capitale a Barcellona, la tenuta militare del fronte popolare si disfece, e nei primi mesi del1939 cadde l’ultimo avamposto repubblicano in Catalogna, consegnando la Spagna al nuovo potere della falange franchista. La guerra civile spagnola, nei suoi sviluppi, anticipò quindi le dinamiche che caratterizzarono la ventura Seconda guerra mondiale, e fornì la prima testimonianza del fallimento politico dei blocchi antifascisti, nonché della loro inutilità per il proletariato internazionale.
XI
La Seconda guerra mondiale scoppia, quindi. L’Italia fascista, dopo tre anni di perdite militari, si vide invasa dagli eserciti degli anglo-americani sbarcati in Sicilia. Il maresciallo Pietro Badoglio, com’è noto, sotto ordine del re depose il governo di Mussolini, sciolse formalmente il PNF e formò un governo di transizione il 25 luglio del 1943 per trattare con gli Alleati che avanzavano lungo il Sud Italia. L’8 Settembre arriva l’armistizio: l’Italia si arrende e si consegna alle forze alleate, mentre Mussolini fugge al Nord per fondare la repubblica di Salò. Appena dopo l’armistizio, la Wehrmacht invade l’Italia centro-settentrionale, compresa Roma, e comincia le sue rappresaglie contro ebrei e dissidenti politici, e il 9 Settembre viene fondato il CLN, presieduto dal PCI di Togliatti, dalla nascente DC e da liberali e socialisti. Come per la Spagna, nella Seconda guerra mondiale si profilarono anche in Italia le dinamiche di una guerra per procura.
XII
Ma anche la “resistenza” che il CLN voleva dirigere sfuggiva dal controllo totale da parte dell’ideologia partigiana: a Roma, ad esempio, i militanti del PCI avevano un peso del tutto minore rispetto alle azioni di Bandiera Rossa, che raggruppava tra gli altri (nonostante una forte componente stalinista) una parte di quei comunisti che ricordavano l’intransigenza rivoluzionaria del PCd’I delle origini, e aveva tra le sue roccaforti alcune borgate romane (il Quadraro e il Quarticciolo in particolare). Per questo motivo, sull’esempio spagnolo, i PCI e i suoi scherani cominciarono a calunniare come agenti fascisti e a perseguitare chiunque si ponesse in una prospettiva rivoluzionaria e internazionalista nella lotta al nazismo, compresi, oltre ad alcuni militanti di Bandiera Rossa, gli anarchici e i pochi comunisti internazionalisti che agitavano per la rottura del blocco con l’Unione Sovietica, tra cui Fausto Atti e Mario Acquaviva, entrambi uccisi dagli stalinisti nel 1945.
XIII
A resistenza finita, e glorificati, come ebbe a dire Togliatti, i partigiani del tricolore sollevato dal fango in cui l’aveva gettato il fascismo, l’Italia fu “liberata” il 25 Aprile quando la costola settentrionale del CLN proclamò, su indicazione di Sandro Pertini, lo “sciopero generale insurrezionale” nei territori ancora occupati dai nazifascisti. La storia seguente è cosa risaputa: il PCI, sotto la mano di Togliatti, concesse l’amnistia a migliaia di fascisti nel 1946 per accreditarsi agli occhi degli americani e del governo post-bellico, l’antifascismo e la resistenza furono integrati nelle parate patriottiche del nuovo Stato democratico, e la “costituzione più bella del mondo”, tra ipocrite concessioni e garanzie di libertà, faceva dell’antifascismo la giustificazione del nuovo ciclo di accumulazione del Capitale italiano.
XIV
In sintesi, l’antifascismo e l’ideologia della resistenza hanno avuto il ruolo di sopprimere ogni moto indipendente da parte del proletariato, in qualunque forma si fosse presentato storicamente. È importante, in tal senso, sottolineare di come la condizioni politiche per l’ascesa dei regimi fascisti furono poste dai governi liberali e “antifascisti”, come il governo di Giolitti e di Nitti in Italia, quello Azaña-Caballero-Negrin in Spagna e quello dei socialdemocratici in Germania: tutti i governi, a prescindere dalla facciata democratica che possono darsi, devono ballare al ritmo di un Capitale sempre più “fascista” e onnipervasivo.
XVII
Inoltre, se guardiamo al presente, nonostante gli appelli alla resistenza e alla formazione di nuovi partigiani contro i gruppi fascisti nelle nostre città, vediamo che a questi appelli raramente corrisponde un’azione degna di nota: questo succede, tra gli altri motivi, perché la parola d’ordine della resistenza è una parola di per sé disfattista e regressiva; i rivoluzionari devono contrapporre a questo indirizzo la opposta consegna dell’offensiva contro i fascisti, il Capitale e i suoi scherani, di qualunque schieramento politico, tutti unitamente reazionari contro la tempesta rivoluzionaria e liberatrice, germe di un nuovo modo di vita della specie e degli individui e sola possibilità di fermare il futuro catastrofico che la società, inibendoci, ci offre.
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